Iniziamo una serie di articoli per raccontare l'esperienza dei due ufficiali del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare che ogni anno da un trentennio partecipano alla Spedizione italiana in Antartide.
Alla XXXI Spedizione, che avuto inizio il 28 ottobre scorso e che si protrarrà fino a metà febbraio 2016, prendono parte il T.Col. Christian Ajello dalla Sezione Meteorologica di Milano Linate, alla sua terza esperienza nel continente bianco, e il Cap. Marco Piersanti del Reparto Adestrativo di Meteorologia e Controllo dello Spazio Aereo di Pratica di Mare (RM), alla sua prima esperienza.
Innanzi tutto perchè l'Italia va in Antartide? E' presto detto: a scopo di ricerca scientifica, per studiare la natura unica e particolare del sesto continente, il continente ghiacciato, in quanto situato sulla calotta polare sud del nostro pianeta. Da oltre trent'anni l'organizzazione e l'attuazione tecnica e logistica della spedizione è affidata all'UTA (Unità Tecnica Antartide) dell'ENEA che per alcune figure professionali specifiche di alta specializzazione si avvale fin dall'inizio del contributo delle nostre Forze Armate che forniscono per l'appunto previsori del Servizio Meteo dell'Aeronautica Militare; piloti militari con funzioni di organizzazione, pianificazione, gestione e controllo delle operazioni, in particolare quelle specifiche di volo di aerei ed elicotteri; l'Esercito, la Marina e i Carabinieri contribuiscono poi inviando anche guide alpine, incursori, palombari e nocchieri per garantire la sicurezza del personale scientifico e tecnico-logistico nei campi remoti, nelle escursioni sul territorio e in mare e nelle immersioni subacquee, tutti movimenti che avvengono nelle condizioni ambientali estreme caratteristiche dell'Antartide. Partecipano inoltre meccanici navali della Marina e meccanici dell'Esercito addetti alla difficile e lunga traversa del continente per collegare e rifornire la base di ricerca remota di Concordia sita nel cuore dell'altipiano antartico. Vi sono infine ufficiali del Servizio Idrografico della Marina imbarcati in campagna di ricerca sulla nave `Italica`, prevista arrivare quest'anno in Antartide subito dopo Natale con funzioni anche di nave cargo per il rifornimento di viveri, materiali e carburante.
La ricerca italiana gestita dall'ENEA ha infatti tre fulcri operativi distinti ma in realtà fortemente interconnessi tra di loro operativamente e da un punto di vista organizzativo: la stazione `Mario Zucchelli' (MZS) situata sulle coste del mare di Ross nella baia
cosiddetta di Terra Nov, la base italo-francese di 'Concordia' situata nel cuore del Plateau antartico a 3200 m di quota su un rigonfiamento della calotta di ghiaccio detto 'Dome C' ad una distanza di 1200 km circa dalla base costiera ed infine la nave 'Italica' che ad anni alterni ha il compito, oltre che di ricerca oceanografica, di rifornire sia la base MZS che da questa a sua volta la base Concordia. Vista la stretta collaborazione con l'analogo programma di ricerche polari dei cugini transalpini, il rifornimento della base congiunta di Concordia avviene, oltre che per via aerea, anche tramite delle traverse, ovvero delle lunghe, complesse e lente carovane di speciali automezzi che partendo dalla base tutta francese di Dumont D'Urville (DDU), situata sulle coste dell'oceano Meridionale, a 1200 km circa da MZS e ad altrettanti da DomeC, la raggiunge in circa 10-15 giorni di lenta marcia.
Il compito principale dei due meteorologi del Servizio dell'A.M,. che ogni anno si alternano all'interno della Sala Operativa di MZS, è dunque proprio quello di formulare e fornire previsioni meteo per l'effettuazione in massima sicurezza di tutte le operazioni aeree, terrestri e marine che vengono svolte negli oltre tre mesi dell'estate antartica durante la quale ogni anno si svolge la spedizione scientifica in Antartide.
In questa serie di articoli ci prefiggiamo dunque di raccontare un po' gli aspetti salienti, più interessanti e più curiosi di questa impegnativa ma affascinante esperienza, unica nel suo genere e che permette alla nostra Forza Armata, l'Aeronautica Militare, di mostrare alla nazione l'altissima preparazione tecnico-scientifica del proprio personale, fornendo un importante contributo all'efficace realizzazione di una spedizione che si svolge nell'ambiente freddo più estremo della Terra, dove le temperature scendono, pur essendo in estate, a -50°C e i venti raggiungono anche i 200 km/h. La grande esperienza maturata durante una spedizione antartica ha a sua volta un grande valore di arricchimento per il lavoro che i previsori torneranno a fare nei propri Reparti di appartenenza una volta rientrati in patria.
Ma iniziamo col rispondere ad una delle più frequenti domande che vengono rivolte a chi è o a chi rientra dall' Antartide:
`Come si arriva in Antartide?`
`Come si giunge cioè alle nostre basi MZS e Concordia?`
Il viaggio per arrivare a Baia Terra Nova, sulle coste della Terra Vittoria, è già di per sé lungo, interessante e con un pizzico ancora di avventura, certo non paragonabile a quella dei primi esploratori di questo continente incantato, ma ancora sufficientemente elettrizzante per chi la vive. Si tratta in sintesi di un viaggio oltre l' altra parte del mondo, un viaggio in aereo veloce ma lungo circa 36 ore attraverso tutti i climi della Terra, dalla nostra Italia fino agli antipodi in Nuova Zelanda e da qui al di sopra dell`oceano Meridionale fino in Antartide per mezzo di un apposito volo di circa 7-8 ore, apposito perché ovviamente non esistono voli di linea per l`Antartide, così come esistono invece fino alla Nuova Zelanda.
Ed eccoci pronti per la partenza dopo giornate frenetiche passate a far stare nei soli 30 kg di bagaglio consentito tutto quanto servirà per quasi quattro mesi di permanenza in Antartide, tutto a parte il vestiario tecnico contro il grande freddo, la caratteristica tuta rossa e tutti gli annessi, della cui spedizione a Christchurch, Nuova Zelanda, si occupa direttamente l`UTA dell'ENEA. Per raggiungere gli antipodi dell'Italia si può a priori seguire sia la rotta occidentale, attraverso l'America e il Pacifico, che quella orientale, attraverso l'oriente e l'Australia. A seconda delle tariffe dei biglietti, anni fa si percorreva quella occidentale, negli ultimi anni invece si va per quella orientale. Spesso capita addirittura di volare prima fino a Londra per imbarcarsi sul gigantesco Airbus A380 a due piani della Qantas australiana. Controsensi antiecologici della moderna economia: si va verso il Polo Nord per andare al Polo Sud!
Siamo ad ottobre inoltrato, nell'emisfero nord l'Autunno prende sempre più piede: è proprio la fascia artica che, ormai quasi del tutto priva dell'illuminazione solare, genera masse d'aria fredde che discendono verso le medie latitudini. Nel contempo dalle latitudini sub-tropicali, vicino Atlantico, nord Africa ed Europa del sud, risalgono invece verso nord masse d'aria ancora piuttosto calde.
Quando una massa d'aria fredda diretta a sud si scontra con una calda diretta a nord si genera un vortice di bassa pressione di 1000 o 2000 km, una perturbazione, sede di formazione di diffusa nuvolosità e maltempo. Decollando dall'Italia verso Londra il nostro aereo sale in quota fino a oltre 30'000 piedi, oltre cioè i 10-11'000 metri, così da volare in crociera nel cielo blu al di sopra degli strati nuvolosi della perturbazione. Si deve infatti sapere che in atmosfera il vapore acqueo, e quindi anche le nubi da esso formate, si concentra, e quest’ultime si sviluppano, tra il suolo e la quota in corrispondenza della quale cessa la diminuzione verticale della temperatura. Questo strato, detto troposfera, ha un'estensione verticale in autunno alle medie latitudini di circa 9-12 km e perciò gli aerei sono normalmente in grado di volare in rotta al di sopra di tale nuvolosità. Solo in discesa verso Londra l'aereo attraversa gli strati nuvolosi, e durante tale discesa i sistemi di bordo anti-ghiaccio e di sghiacciamento del bordo delle ali sono inseriti per evitare che le goccioline delle nubi, ancora liquide a temperature sotto 0°C, possano formarvi pericolosi accumuli di ghiaccio che degraderebbero le prestazioni aerodinamiche dell’ala. In atterraggio il cielo è coperto e grigio, cade una fine pioviggine, è umido e la visibilità non supera metà della lunghezza della pista.
Poche ore dopo l'enorme A380 riattraversa in salita le nubi della perturbazione e ci riporta a vedere il cielo blu a 37.000 piedi di quota, o come si dice in gergo a Livello di Volo, Flight Level 370, sopra la tropopausa, il limite superiore della troposfera: stiamo volando nell'aria secca della stratosfera con prua diretta a sud-est, destinazione Dubai. Durante la crociera qualche lieve scossone di turbolenza segna il passaggio dalle masse d'aria temperate a quella calda e secca sub-tropicale.
È l'alba quando l'aereo si appoggia dolcemente sulla pista e si percepisce subito di trovarsi in una zona climatica completamente differente da quella di casa nostra: l'aria è calda nonostante l'ora presta e il cielo, benché sereno, ha un aspetto leggermente giallognolo e opalescente per via della diffusione della luce del sole ancora basso sull'orizzonte da parte delle polveri desertiche sospese.
Sebbene astronomicamente siamo anche qui in autunno, sembra di aver fatto un salto indietro nell'estate per noi ormai passata. È infatti proprio da queste latitudini che hanno origine le masse d'aria più calde che ci fanno patire i periodi di caldo estivo più intenso. È la fascia dei cosiddetti "anticicloni subtropicali", vaste zone di alta pressione caratterizzate da aria calda e secca e con quasi totale assenza di nubi. Nel loro interno infatti l'aria è costretta a scendere lentamente dall'alta alla bassa troposfera, così facendo si comprime diventando più calda e secca; il sole alto in cielo ci mette infine la sua parte scaldando fortemente la superficie. Dopo una breve sosta di un paio d'ore necessaria a rifornire l'aereo, si ridecolla salendo nuovamente in quota nell'aria calda dell'anticiclone con prua verso sud-est. Un po' di turbolenza nei primi duemila metri dal suolo rappresenta proprio la firma dell'energia del sole che sta già infiammando il suolo arido e produce bolle ascendenti d’aria calda.
Iniziamo dopo un po’ a sorvolare l'Oceano Indiano e a un certo momento si possono ammirare dal finestrino gli atolli delle isole Maldive. Non manca molto all'equatore e qualcosa di significativo da un punto di vista meteorologico sta avvenendo: stiamo uscendo ad alta quota dall'anticiclone e contemporaneamente, vicino alla superficie dell'oceano, i venti alisei provenienti da nord-est, con la loro caratteristica velocità costante i 30-40 km/h, soffiano anch'essi in direzione dell'equatore, sollevando l'aria umida e formando nubi cumuliformi, molto bianche nel riflesso della luce solare. Inizialmente piccoli batuffoli poco sviluppati verticalmente, fino a 2.000 o 3.000 m, al nostro procedere verso latitudini più basse cominciano a crescere sempre di più in altezza fino a raggiungere e superare la quota di volo dell'aereo e divenendo gradualmente nubi temporalesche, i maestosi "cumulonembi". Abbiamo infatti raggiunto la cosiddetta linea o meglio zona di convergenza intertropicale (ITCZ) dove lo scontro tra gli alisei da nordest con quelli da sud provenienti da sotto l'equatore, dall'emisfero australe, costringe la forte umidità a salire in quota condensando in gocce d'acqua e cristalli di ghiaccio all'interno di queste gigantesche nubi la cui sommità a queste latitudini arriva a spingersi anche oltre i 15-16.000 metri, ben più in alto dei 12.000 m della quota massima di crociera degli aerei di linea.
Come tutte le nubi temporalesche, di qualsiasi latitudine, questi altissimi cumulonembi costituiscono un pericolo per la navigazione aerea essendo caratterizzati al loro interno da forte turbolenza e raffiche di chicchi di grandine grossi come arance.![]()
Ma niente paura! Ogni moderno aereo di linea è dotato di un radar meteorologico all'interno del muso che permette ai piloti di "vedere", di individuare cioè, le parti più attive e pericolose del cumulonembo e di evitare pertanto di entrarvi. La presenza di diversi di questi cumulonembi vicini tra loro lungo il fronte inter-tropicale fa sì che si produca ad alta quota uno strato nuvoloso, un "cirrostrato", fatto di microscopici cristalli di ghiaccio. Ecco allora che per il meteorologo in viaggio a bordo dell'aereo, appassionato di nubi, si presenta un'occasione unica: guardando alternativamente un po' le nubi fuori dal finestrino e un po' sul display di fronte a sé, sul quale si alternano la schermata con la traccia della rotta dell'aeromobile e quella con le immagini della telecamera presente sulla coda dell'aereo, può apprezzare il lavoro dei piloti in cabina: le piccole deviazioni di rotta fatte proprio per non entrare nel nucleo attivo del cumulonembo. Quando l'aereo passa nel cirrostrato, che costituisce la chioma della testa della nube temporalesca, un vero e proprio bombardamento di cristalli microscopici di ghiaccio investe la piccola telecamera di coda visualizzandosi sul monitor attaccato al sedile di fronte.
Davanti a un simile spettacolo la mente corre rapida indietro al lavoro quotidiano in Italia, nel proprio ufficio di vigilanza meteorologica dello spazio aereo nazionale. Quante volte ho scritto avvisi di sicurezza, detti SIGMET, per avvertire tutti i piloti in volo o in procinto di volare nel nostro cielo nazionale, qualsiasi fosse l'origine e la nazionalità del loro volo, circa la posizione, lo spostamento e l'intensità di queste pericolose formazioni temporalesche. È questo infatti uno dei tanti contributi alla sicurezza nazionale che il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare fornisce da decenni al Paese. E ti senti orgoglioso di fare questo lavoro, di far parte della squadra azzurra dell'A.M!
Attraversato il fronte intertropicale, non senza qualche lieve scossone di debole turbolenza, ben poco in verità in confronto a quella che si trova all'interno dei cumulonembi, prodotta dalla stretta copresenza di forti correnti ascendenti e discendenti, proseguiamo il nostro volo e vediamo le nubi cumuliformi tornare a farsi sempre più piccole, sempre più basse ed innocue, sospinte nella direzione opposta alla nostra dagli alisei provenienti dall'oceano Indiano meridionale e dal sud-est asiatico.
D'ora in avanti il "film" del tempo e dei climi a cui abbiamo appena assistito si riavvolgerà al contrario: c'è infatti una sostanziale simmetria tra la circolazione atmosferica dei due opposti emisferi. A parte differenze principali dovute alla diversa distribuzione delle masse continentali e oceaniche tra i diversi emisferi, quello che noteremo maggiormente tra qualche ora all'arrivo in Nuova Zelanda, è l'essere partiti dall'autunno per arrivare in primavera. L'aver lasciato cioè un emisfero, quello boreale, che giorno per giorno va raffreddandosi al diminuire dell'altezza del sole sull'orizzonte e al ridursi delle ore diurne di luce, per spostarci in quello australe dove l'aumento della luce e del calore solare stanno portando la natura a risvegliarsi.
L'aereo vola rapido verso l'Australia, con la sua velocità di crociera di circa 900 km/h, e correndo verso oriente accorcia la durata della giornata andando incontro alla notte. Dal finestrino si vedono in alto le stelle popolare un cielo sempre più scuro e in basso le luci molto più sporadiche di rari agglomerati urbani.
Non c'è alcuna nube e infatti siamo entrati in una vasta massa di aria calda, secca e stabile che costituisce un anticiclone della fascia subtropicale australe. Stiamo ora volando attraverso la linea del Tropico del Capricorno e in cielo si profilano costellazioni sconosciute all'occhio dell'abitante dell'altro emisfero. È certo una massa d'aria calda quella che stiamo attraversando, anche se l'indicatore della temperatura esterna dell'aereo non ce lo farebbe proprio pensare: a 12.000 m, o il che è lo stesso a 40.000 piedi come scritto sul display multilingue, ci sono meno di 65°C sotto zero! Quello che non c'è scritto è che a questa altitudine la pressione e quindi anche la densità dell'aria sono ridotte a circa un quinto di quelle in cui siamo abituati a vivere a livelli prossimi a quello del mare. Ecco perché la cabina dell'aereo è pressurizzata.